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Il caso di Eddy Bellegueule: omofobia senza fine

Letture estive


omofobia

E' uscito da poco per Bompiani il caso letterario che ha fatto discutere tutta la Francia: nulla a che vedere con La verità sul caso Harry Quebert, lo dico perchè il titolo potrebbe trarre in inganno...



Questa è un'autobiografia pura di un giovane francese, oggi ha 22 anni, che racconta la sua difficile infanzia in un paese della provincia.

Dal Corriere:


L’inizio di «Il caso di Eddy Bellegueule», l’ultimo successo editoriale francese appena tradotto in Italia da Bompiani, è uno sputo in faccia. Letteralmente: il protagonista lo riceve a scuola da due compagni, che poi procedono a riempirlo di botte. La sua colpa è sembrare, ancora più che essere, gay. Ed è solo la prima di una lunga serie di umiliazioni che il ragazzino dovrà affrontare nel libro, che in patria ha venduto 190 mila copie. Il merito principale del romanzo è che è tutto vero: sarebbe difficile, altrimenti, credere che qualcosa del genere potesse ancora accadere nella Francia dei primi anni duemila (eppure succedeva e continua a succedere anche in tante delle nostre province).
«È una storia vera, è la mia vicenda personale», ha spiegato l’autore Édouard Louis a Stefano Montefiori sul Corriere. Fino all’anno scorso infatti Luois, 22 anni, si chiamava Eddy Bellegueule: ha cambiato nome per prendere definitivamente le distanze da Hallencourt, il villaggio di 1.400 abitanti della Piccardia in cui è cresciuto, e dal ragazzino vittima di troppe violenze che è stato. «Era importante per me chiudere del tutto con quel mondo e quella gente», ha confermato. Ha usato l’arma più potente che avesse a disposizione: la parola.
Eppure non ci è riuscito davvero – ed è forse una delle cose che rendono più disturbante «Il caso di Eddy Bellegueule». Troppo il dolore, ancora troppo forte l’umiliazione. Anche oggi, che Eddy non c’è più ed Édouard è già un intellettuale, studente di sociologia all’École Normale di Parigi. Rimangono sulle pagine come sabbia tra i denti.
La parola che ricorre più spesso nel libro è «vergogna». Louis racconta alla perfezione la ferita più profonda delle aggressioni omofobe (ma vale anche per quelle xenofobe), quella che fa sentire chi ne è vittima sbagliato, lo convince di meritarsi le umiliazioni e il disprezzo:
«Sei tu il frocio?
Pronunciando queste parole, le avevano incise in me per sempre come uno stigma, come quei segni che i greci imprimevano con un ferro rovente o con un coltello sul corpo dei devianti pericolosi per la comunità. L’impossibilità di liberarmene. È la sorpresa che mi ha folgorato, anche se non era la prima volta che mi dicevano una cosa simile»
Abusi e offese si susseguono gli uni dopo le altre, senza scampo. Anche da parte di un padre e di una madre la cui violenza peggiore è negargli un orizzonte: così tanta la loro miseria culturale e materiale (Eddy descrive la fame) che non sanno neppure immaginare un’altra vita. A differenza delle vittime del razzismo, infatti, il protagonista del libro non ha neppure il conforto dei suoi: anche per loro lui è sbagliato. Mentre il colore della pelle unisce le famiglie, l’omosessualità le divide – un taglio orizzontale tra le generazioni. Inutilmente Eddy tenta di reprimere i suoi sentimenti o nascondere i movimenti troppo delicati per un ambiente in cui gli uomini possono solo esistere da «duri». Gli altri, comprese le ragazze con cui cercherà di stare, scoveranno sempre la sua mancanza di autenticità.
L’iniziazione sessuale di Eddy arriva a 10 anni al modo di tanti adolescenti, oggi: scimmiottando le immagini di un porno, fuori dalla grammatica dei sentimenti. E con la più misera conoscenza di sé: quella che si esaurisce nelle risposte meccaniche del corpo, senza il respiro degli affetti. A differenza di altri adolescenti, però, Eddy, suo cugino e i loro amici scopriranno il sesso tra maschi, «penetrando e lasciandosi penetrare». In un’ossessione crescente, interrotta solo dallo sguardo della madre che li scopre per caso in un capanno, «uno sguardo che non so più cosa esprimesse». La conseguenza peggiore per Eddy non sono le botte, ma ancora una volta la vergogna che lo segna come se fosse l’unico sulla terra: perché sarà lui e soltanto lui a essere ricordato come il ragazzino che «a dieci anni si faceva sodomizzare dal cugino». Come se gli altri non fossero stati lì con lui, a compiere gli stessi suoi gesti. Come se avesse fatto tutto da solo. «Il delitto non è fare, ma essere. E soprattutto sembrare», capisce subito Eddy.
La salvezza gli arriverà dalla scuola: dal corso di teatro che nonostante tutto è riuscito a frequentare, dall’aiuto di un professore che lo manda a fare un provino per una borsa di studio in un liceo lontano dal paese in cui studiare drammaturgia. Eddy se ne andrà dal villaggio che odia tanto, in cui il futuro per tutti è già iscritto in ruoli impossibili da cambiare, che riducono uomini e donne a pupazzi di un destino inesorabile.
Louis non racconta gli anni del liceo, né l’emancipazione parigina dell’università. Sappiamo solo che anche alle scuole superiori, qualcuno lo riconoscerà immediatamente: «frocio». Ed Eddy riuscirà solo a far finta di ridere con gli altri. Senza potersi davvero liberare dalla vergogna: vergogna dell’omosessualità, vergogna della povertà, vergogna dell’ignoranza.
Nelle pagine precedenti, nel parlare della caduta del cugino finito in carcere perché era un «duro», Eddy aveva descritto così il ricordo della prigione: «Come se gli individui, gli altri, fossero sempre associati a un luogo, uno spazio e un tempo particolari, da cui era impossibile dissociarli, come se esistesse una geografia dei legami, dell’amicizia, e detestare un luogo comportasse, inesorabilmente, fatalmente, il detestare coloro che vi si trovano».
Per Eddy la vera prigione è il paese e non riesce a non odiare la famiglia che da lì non può evadere. Non è difficile indovinare che qui Louis parla di sé e del suo bisogno di troncare ogni rapporto con loro, financo nel nome. Immaginarsi del tutto estranei è rassicurante: per Eddy come per i lettori di Louis, che allontanano l’odore dell’odio in esistenze abiette a cui non possono assomigliare. Ma l’omofobia dei genitori di Eddy non è del tutto estranea a nessuno di noi, neppure allo scrittore Louis. E senza recuperare niente di sé e del proprio passato, sofferenze comprese, non c’è salvezza. Forse proprio per questo Eddy/ Édouard non riesce a vedere (e a far vedere) che la fonte della sua vergogna è anche ciò che gli dà futuro, se non speranza. Solo una volta fa capolino un bagliore di consapevolezza: «Il fatto di amare i ragazzi trasformava l’insieme dei miei rapporti col mondo – scrive –, mi spingeva a identificarmi con valori che non erano quelli della mia famiglia». È l’unica frase nel libro in cui compare la parola amore.

Musica consigliata: Kasabian - L.S.F. (Lost Souls Forever)



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